È un Dio che divide?

Nell’episodio della torre di Babele (Gen 11,1-9), Dio confonde le lingue: come mai lui che vuole l’unione tra i popoli e l’accoglienza dello straniero, immette nel mondo una delle cause più rilevanti di divisione?  Giulio M.

Il racconto intende rispondere all’obiezione che sorgeva nel lettore dopo aver appreso dell’unica origine della famiglia umana (Gen 10), quando invece constatava l’esistenza di popoli aventi lingue diverse e che vivevano in ostilità.
Si tratta, dunque, di un’eziologia, come si ricava anche dall’interpretazione finale del nome della città (v. 9: “Babele”, Babilonia, ha assonanza con il verbo ebraico balal, “confondere”; in realtà deriva dall’accadico bab-ilu, “porta di Dio”).
L’autore si esprime nel linguaggio mistico del “castigo” di Dio, che interviene a confondere e dividere, per mostrare come sia destinato al fallimento il progetto umano di autoglorificarsi ergendosi al livello divino (v. 4 «una torre la cui cima tocchi il cielo, facciamoci un nome»).
Inoltre fin dalla creazione Dio era intervenuto affinché proprio a partire dalla diversità – e non dall’uniformità – si tendesse all’armonia e all’unità.
Vi è anche una sottile ironia nei riguardi della religione babilonese in cui le altre torri (ziqqurrat, tipica delle città mesopotamiche) rappresentavano l’abitazione del dio nazionale.
[Famiglia Cristiana del 04/11/2012]

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