Che significa «non ci indurre in tentazione»? Non sarebbe meglio chiedere di essere aiutati nella tentazione? Giorgio D.
La versione liturgica attuale, menzionata da Giorgio, è una traduzione servile del greco eisenenkes (= immettere), che come tale può anche sollevare problematiche teologiche (cfr. Gc 1,13: «Dio non tenta nessuno»).
Il verbo greco probabilmente traduce – in modo approssimato – un originale semitico che andrebbe compreso in base a testi come il Salmo 140 (141),4: «Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori».
Il senso dell’invocazione sarebbe dunque: «Non ci lasciare entrare e soccombere nella tentazione»; l’interpretazione dei Padri è su questa linea; d’altronde l’ultima versione della Cei (2008) traduce ora con «non abbandonarci alla tentazione».
Nella “tentazione” vi si può vedere le prove più o meno grandi di cui è intessuta la vita del credente nel suo cammino alla sequela di Gesù, compresa la prova finale collegata con la venuta del Signore (cfr. 2Ts; Ap 3,10).
[Famiglia Cristiana del 11/09/2011]