Come conciliare il concetto di “ira” del Signore con il primo e fondamentale suo attributo di “misericordioso e compassionevole”? FRANCESCO L.
Nella Bibbia greca il termine “ira” (orgé) la maggior parte delle volte rende l’ebraico ’ap, che di per sé significa “naso”, ed è un’immagine per la collera che si manifesta come uno sbuffare furioso dalle narici. Applicata a Dio, essa è espressione antropomorfica, presente già nell’Antico Testamento (cfr. Es 32,10-11; Mi 7,9; Sof 1,15; Sal 85,4-6), da intendersi non come irascibilità caratteriale, ma in senso teologico: indica la totale incompatibilità di Dio con il male e la sua netta riprovazione verso ogni empietà e ingiustizia. Per esempio in Rm 1,18 non si dice che l’ira di Dio si rivela sugli uomini, bensì «su ogni empietà e ogni ingiustizia» di quegli uomini. Quindi l’ira di Dio è rivolta all’empietà e non verso «quegli uomini» che la commettono, non è perciò un’ira verso i peccatori, bensì verso il peccato, verso il male che danneggia l’uomo: in fondo essa è una componente della sua giustizia salvifica. Dio condanna il peccato, ma ha misericordia del peccatore.