Gli esegeti dicono che certe frasi dei Vangeli non sono state pronunciate da Gesù. Capisco le frasi attribuite a Dio, ma Gesù è vissuto su questa terra.
Alessandro T. – Saluzzo
I Vangeli ci trasmettono senza alcun dubbio la forza e il fascino delle parole di Gesù. Si pensi solo alle importanti pericopi sulle parabole (presenti nel capitolo 13 di Matteo e nei passi paralleli degli altri evangelisti), al grande discorso della montagna (che occupa i capitoli 5-7 di Matteo) o all’esortazione missionaria rivolta da Gesù ai suoi discepoli (Luca 10,1-12 e Matteo 9,37-10,15).
Il ricordo della predicazione di Gesù dovette essere mantenuto e riorganizzato dai suoi discepoli inizialmente in forma orale. Ciò non stupisce, se pensiamo che la cultura ebraica era fondata essenzialmente sulla trasmissione orale e che, fin da bambini, lo studio della Torah1 avveniva nelle sinagogali per via di memorizzazione.
La critica storica dei Vangeli sinottici2 ha poi ipotizzato di una raccolta scritta di parole di Gesù (chiamata in gergo tecnico “Q”, dal tedesco Quelle, che significa “fonte”) 3, che sarebbe stata utilizzata dagli evangelisti Luca e Matteo e non da Marco (consisterebbe in tutti i passi paralleli tra Luca e Matteo che mancano in Marco).
Ciò detto, è però vero che ogni evangelista riutilizza tutto questo materiale all’interno di una propria visione delle cose e di un’originale penetrazione del mistero di Cristo, alla luce della Pasqua. Tutta la vicenda storica di Gesù di Nazaret, e dunque anche il ricordo delle sue parole, è stata re-interpretata dai suoi discepoli alla luce di quell’evento fondamentale che è la morte e risurrezione di Gesù, e ogni evangelista presenta poi tale re-interpretazione con accentuazioni diverse a seconda delle esigenze della comunità per la quale scrive. Questo è particolarmente evidente, per fare un esempio concreto, per le parole che Gesù pronuncia prima di morire sulla croce. Se Marco sottolinea il paradosso per il quale un uomo in croce, che grida il suo essere abbandonato da tutti, anche da Dio, suscita la fede del centurione nel Figlio di Dio (Mc 15,33-39), Giovanni mostra il Cristo innalzato sulla croce nell’atto di compiere le Scritture antiche (Gv 19,28-30).
Marco, infatti, intende catechizzare i pagani convertiti, probabilmente di Roma, affrontando direttamente lo scandalo della croce, così lontano dalla mentalità religiosa del tempo; Giovanni, invece, intende far penetrare nella profondità del mistero di Cristo quei lettori che già conoscono l’Antico Testamento in greco e che sono, dunque, progrediti nell’esperienza di fede.
Nessuno dei due evangelisti intende raccontarci i fatti storici nella loro esattezza cronachistica, entrambi però vogliono narrarci, ciascuno dal suo punto di vista, la verità profonda di Cristo.
Non avremo, pertanto, mai l’assoluta certezza di quali parole Gesù abbia effettivamente pronunciato sulla croce, se ha citato il Salmo 22 come mostra Marco o il Salmo 69 come, invece, troviamo in Giovanni. Ma, secondo l’intento degli evangelisti, apprendiamo che Gesù, attraverso l’umiliazione scandalosa della croce, ha compiuto nella sua carne tutte le Scritture di Israele.
DIZIONARIO MINIMO
1 TORAH
I primi cinque libri della Bibbia ebraica (in greco Pentateuco) considerati la parola normativa e autorevole di Dio rivolta al suo popolo, e perciò definiti complessivamente come la Legge. Sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
2 SINOTTICI
I Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono detti così perché si possono leggere in parallelo, dal momento che presentano brani simili.
3 FONTE Q
Gli esegeti hanno ipotizzato un testo dal quale avrebbero attinto Matteo e Luca nella composizione dei loro rispettivi Vangeli. In tedesco Quelle (di qui Q) significa “fonte”.